Ma perché non pubblichi nulla? Mi spieghi come faccio a sapere che cosa fai? Mi spieghi come faccio a sapere se siamo affini, simpatici, o se magari ci sono delle cose in comune? Non ti interessa? Non so, può essere che il tuo grado di soddisfazione della bolla in cui vivi sia molto alto. Questo mi sorprende, anzi mi fa incazzare. Per quale motivo non vuoi esplorare altre bolle, o incontrare dei contenuti nuovi? Sì, mi fa incazzare. Io voglio sapere… Ti prego, almeno la foto di una mensola con dei libri. Una corona d’alloro, un brindisi per capire se bevi bianco o rosso, se ti fumi le canne o sei un fitness-addicted. Qualunque cosa, ma non lasciarmi nel vuoto!

Non so se abbiate riconosciuto questi processi. Forse vi appartengono, forse non è per di  qui che è passato il vostro pensiero quando avete incontrato una di “quelle persone”. Quali persone? Beh, quelle persone che fanno scindere il mondo in due parti: una parte che si incazza, che specula in negativo e che nel vuoto colloca il nulla e una parte che nel nulla trova spazio per fantasticare su una mistica vita nella quale la soddisfazione del proprio spazio di esistenza permetta di non cercarne un altro attraverso i social network. Quelle persone, sono quelle che sui social non ci sono, o se “ci sono” non pubblicano quasi nulla, se non una foto ogni due o tre mesi, quelle che non hanno mai strusciato la telecamera delle loro stories sulla faccia di un partner o sulle pareti della propria stanza o sui binari della loro routine. Alcuni di questi utilizzano il social come una “televisione”. Una finestra per guardare le vite degli altri. Questo, però, non ci è possibile saperlo se non ricercando il loro occhio tra gli spettatori delle stories, e questa appare già distorta e ossessiva come cosa da fare: “chi mi ha guardato?”

Quelle persone mettono in discussione ogni cosa. Quando capitiamo sui loro profili, troviamo dei veri buchi enormi, una foto a marzo, quella dopo a giugno. Il primo istinto è sentire che il tempo si ferma, o che fa un salto, uno skip che porta la sua esistenza nella nostra mente direttamente da quella data all’altra. Nessuna storia o stato di alcun tipo. Al massimo il link di una canzone. Cosa significa? Che il tempo si è fermato e in tre mesi l’unica cosa che hai da dirmi sta nel testo di quella canzone di tre minuti? L’hai ascoltata in loop per tre fottuti mesi? Il tempo che intercorre tra i contenuti, come in un paradosso quantistico sulla natura delle particelle, assume contemporaneamente la natura di un muro che non ci permette si sapere ed un burrone di domande infinite che culminano in un non-poter-sapere. 

Dell’essere quelle persone non so nulla, ma conosco cosa significhi essere una di quelle altre che speculano in nero o delle altreancora che sprofondano nel mistero davanti ad un profilo fermo. Speculare in un verso o in un altro è un’azione che dipende dal mio stato emotivo, dalla sicurezza che ho nella rappresentazione della mia vita che girovaga nell’aria quella mattina. Qualcuna di quelle persone la conosco dal vivo, ma so che sarebbe una cosa strana, che renderebbe evidente la mia morbosità se gli chiedessi “ma come fai a non stare sui social?!” Voglio chiamare quelle persone emptyer, perché grazie al vuoto che creano finalmente possiamo riflettere sul rapporto simbiotico che la nostra percezione ha con lo specchio-performer digitale della nostra identità.

Davanti al profilo di un emptyer – magari uno di quelli che non ha postato la foto del suo posto di lavoro, che non ha messo il salone della nonna da cui va a pranzo la domenica nelle stories, o che non ha fatto una carrellata delle persone con cui va in festa o agli aperitivi, che non ha mostrato i grandi obiettivi e i traguardi raggiunti, o che non ha chiesto aiuto ai supporter occasionali in un post strappalacrime o in una story con gli occhi gonfi- ci troviamo davanti a qualcosa che a noi sembra il vuoto totale. Abituati a poter vedere, o perlomeno poter ricostruire tutto, ci troviamo come impotenti: cosa fa questa persona nella sua vita? Cosa gli permette di stare lontano dai social? Lo fa perché soffre o perché semplicemente non gliene frega nulla? 

La catena mentale di azioni abituale su un profilo è “unire i puntini” per decodificare la vita offline di una persona: la foto di un camice e un cartello in cirillico ci dicono che magari studia medicina nell’Est Europa, ad esempio. Mentre facciamo tutte queste accurate ricostruzioni, magari anche andando a spulciare la geolocalizzazione di un post o di una storia, iniziamo a capire (o credere di capire) questa persona dove vive, che posti frequenta, quale può essere il suo ritmo di vita. Ma già se abbiamo a disposizione pochi post, la lampadina della nostra autocritica ci obbliga a fermarci e dirci che “sono solo supposizioni.” Allora il mistero inizia ad infittirsi e ci chiediamo il perché di tanta assenza dalla piazza. La piazza necessaria,  dove ormai il 99 percento delle anime e delle individualità si incontra, si codifica e si spettacolarizza.

È la risposta a queste domande, allora, l’elemento da analizzare per capire da chi è popolata la piazza dei social media. Ci sono quelli che sotto sotto pensano che queste persone conducono delle vite noiose, monotone, che non vadano in vacanza o che non vincano mai nulla, per questo non hanno bisogno di condividerlo con gli altri, che non abbiano bei posti da mostrare in foto. Nel vuoto vedono solo il nulla, l’assenza, perché l’assenza è l’unica alternativa all’abbondanza che essi stessi vivono nella loro vita completamente invasa e pervasa dai social network e dalla rappresentazione ottimizzata della quotidianità e del corpo. Non è possibile affrontare il mondo oggi senza esistere nella rete e nella rete configurare le proprie relazioni, la propria figura o la propria carriera. È come se ti mancasse uno strato di carne. Non è possibile incontrare le occasioni senza il social, quindi queste persone o non hanno voglia di mettersi in gioco, o non ne hanno bisogno e hanno già una vita fatta e predisposta. “Io no, io sono pront* ad incontrare il mondo attraverso queste enormi isole digitali connesse.” 

Dall’altra parte ci sono coloro che alla domanda, rispondono con un’altra domanda, con una speculazione positiva. Coloro che accettano che possa esistere una forma differente di percepire sé stessi nel mondo al di fuori della rete e della fusione tra l’anima e lo schermo portatile. Essi si collocano nell’accettare che ci sia qualcosa d’interessante, qualcosa da imparare, qualcosa di conservativo ed affascinante nel saper “vivere senza social”. Quel vuoto nasconde migliaia di significati e consapevolezze, centinaia di momenti che sembra non abbiano bisogno di diventare frames, pixels, caratteri ed emoji per restare in un qualche flusso di verità condivisa. Quelle persone ci appaiono forti, sagge, resistenti.

In quel vuoto non so e non voglio scoprire che cosa ci sia, perché quel nulla, quell’assenza è solo un’ illusione creata dall’abbondanza del quale affollo il mio schermo e il mio specchio. Ora che vedo quel nulla da vicino, capisco che ciò su cui veramente bisogna farsi la domanda si nasconde dietro gli occhi di chi osserva questo vuoto. 

Non è nulla, è solo pieno di cose che non puoi vedere perché non sono cazzi tuoi.

PS: So benissimo che non esistono solo questi tre tipi di utente, perché il mondo è fatto di macchie che si mescolano per creare nuove possibilità, ed è per questo che conosco persone che non pubblicano NIENTE sui social ma li usano per spiare coloro che pubblicano in continuazione ogni cosa, come fossero dei fantasmi che si aggirano per la rete, con immagini del profilo prese dagli anime o dai film e con post che non hanno davvero nessun collegamento col mondo offline. So benissimo che ci sono utenti a cui degli emptyer non frega assolutamente nulla, perché vivono nel mezzo,  perché hanno un rapporto sano con il social-media, o forse un rapporto strettamente lavorativo o artistico. Essi scorrono, skippano, non s’infittano, approfittano della piattezza dell’immagine e della finitezza della frase per saltare di blocco in blocco, spegnendo la ricerca. Di queste categorie ci occuperemo se interagirai con questo articolo, in modo da farci conoscere il tuo rapporto con i social. In ogni caso, crediamo che per conoscere le possibilità tu debba guardare nel mezzo, dove le macchie si mescolano, o agli antipodi, dove gli argini si sfondano ed esondano nuovi fiumi di significato.

Perché carichi? Perché scorri? Perché salti? Perché ti guardi? Perché t’impicci?

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