Nella sua opera filosofica Πολιτεία (Politéia, titolo originale della Repubblica), Platone costruisce un progetto socio-politico ed etico.

Egli immaginando la fondazione di uno Stato ideale, Καλλίπολις (Kallìpolis, la bella città), il cui tessuto connettivo è rappresentato dalla giustizia. Diogene Laerzio classificò La Repubblica come dialogo politico. Platone, infatti, tratta anche dei principali modelli organizzativi della vita politica realmente attuati all’interno mondo greco antico e analizza le degenerazioni del potere politico. 

 “Per il bene degli Stati sarebbe necessario che i filosofi fossero re o che i re fossero filosofi” ‒ Platone, Repubblica 

I libri V-VII contengono una riflessione sul ruolo dei filosofi all’interno dello Stato e sull’esigenza di un governo basato sul loro operato. Ma chi sono i filosofi?

Sono coloro che nella struttura sociale si distinguono per erudizione e sapienza. Quelle figure che si differenziano dagli uomini comuni proprio per le loro spiccate capacità di ragionamento

Grazie a Platone nasce il binomio filosofi-governanti: essi devono occuparsi della realizzazione del benessere collettivo e di una società perfetta; libertà individuali, inclinazioni personali e tendenze soggettive dovranno essere eliminate e sacrificate in nome della suprema necessità di costituire uno Stato efficiente.

Dunque, l’interesse collettivo è esaltato a danno dei vari e molteplici interessi individuali.

Tale pensiero fu argomento di un acceso dibattito filosofico durante il Novecento; Karl Popper, ad esempio, nel suo saggio di filosofia politica ‘The Open Society and Its Enemies‘, afferma che il progetto politico delineato da Platone nella sua Repubblica profila un’utopia totalitaria

Platone costruisce un paragone per spiegare ad Adimanto, nobile greco e fratello del filosofo, il ruolo che i politici suoi contemporanei svolgono.

La metafora, affidata alle parole di Socrate, è quella della nave: i marinai, pur essendo inesperti sia teoricamente che praticamente, si prendono gioco del vero timoniere “un po’ sordo e dalla vista corta” e credono di poter acquisire l’arte nautica nell’esatto momento in cui ottengono il governo della nave.

Ma Socrate precisa che “il vero timoniere deve preoccuparsi dell’anno, delle stagioni, del cielo, delle stelle, dei venti e di tutto quanto concerne la sua arte”, anche se talvolta proprio al vero timoniere è assegnato l’appellativo di “acchiappanuvole” dalla ciurma stolta; e inoltre Socrate aggiunge “Non ti sbaglierai paragonando gli uomini politici attuali ai marinai di cui abbiamo parlato poco fa”. 

E dunque, alla luce dei recenti avvenimenti di politica interna, dopo una lunga crisi di governo, i nostri uomini politici dimostreranno di avere le qualità dei marinai o quelle del vero timoniere? 

di Giorgia Bozzetto

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