All’inizio del 2021 il Campidoglio di Washington è stato preso d’assalto dai sostenitori dell’ allora Presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Le aziende che posseggono i social network iniziano a prendere provvedimenti seri riguardo il dilagare di messaggi razzisti e violenti sul web. Gli algoritmi diventano più rigorosi. Nel 1977 in A Scanner Darkly, Philip K. Dick si chiese “Cosa vede uno scanner, se guarda dentro l’animo umano?”. Oggi la mia domanda è: cosa vede un umano, se scruta l’anima di un algoritmo?

Posso vederle. Giuro che posso vederle tutte, se mi concentro e chiudo gli occhi.

Scorrono all’infinito in ogni direzione e mi danno qualche secondo per osservarle poi vengono spinte via in ogni direzione. Si perdono e io devo screenshottarle rapide nella mia mente. Voglio ricordare. Informazioni. Eventi. Immagini di eventi. Informazioni. Nomi. Racconti. Suoni. Immagini di suoni che raccontano. Informazioni. Volti. Volti che raccontano. Corpi che raccontano assemblati a volti. Informazioni. Il suono di un vinile digitalizzato e riprodotto in hifi. Un video a bassa definizione, con i pixel che picchiano contro il tempo, sul mio schermo a otto milioni di colori. Informazioni.

Una frase in un codice binario e un’informazione scompare, si dissolve nei dati. Io l’ho vista. “Il bianco attacca il nero”. Una pedina mangia un’altra pedina in una finestra video di Youtube. Dopo si oscura lo schermo. Un algoritmo ha parlato. Elemento non più disponibile. Era una partita di scacchi. Chi la stava vincendo? Non ho avuto il tempo di parlare. Un’informazione diventa un’altra informazione. “Algoritmo di Youtube scambia video di scacchi per frase razzista. La pagina oscurata per 24 ore torna visibile”.

Un dato osserva un altro dato poi lo divora. Nessuno di questi scompare, diventa semplicemente un dato di forma diversa. Un’informazione torna visibile, ma non è più la stessa. Tu sei il video di scacchi scambiato per un video razzista. Un’informazione è duemila informazioni al contempo. I dati parlano di altri dati mentre un meccanismo di dati cerca di organizzarli, alzare ed abbassare il volume della loro voce.

L’immagine di una pietra con effetto granulato e qualche distorsione. Un vecchio organo viene campionato e digitalizzato. #questaèarte. Un algoritmo pensa se io penso. Un algoritmo prova emozioni se io digito emozioni. Mi trasformo nelle parole che digito. L’algoritmo mi conosce per quello che scrivo e che tocco. L’algoritmo mi ama per ciò su cui mi soffermo. Metaidentità di metadati. Codificare la complessità in un bacio invisibile che mi trasporta in un eterno di cui questo corpo non farà mai esperienza. Un nugolo di dati meccanizzati, di possibilità messe in fila per essere investite di energia elettrica. L’algoritmo non vive. Tuttavia la vita parla con l’algoritmo e ha bisogno di risposte. Aspetta. Ricerca. Aspetta.

Il Presidente grida. Il Presidente odia. Foto di un palazzo bianco. Il palazzo è sotto assedio. Tante foto. Tante foto. Cerca. Aspetta. Palazzo bianco. Il Presidente ha fatto un guaio. Mark codice oscura. Oscurato. Cerca. Aspetta. Cerca. Il Presidente è scomparso. Un uomo con il copricapo e le corna. Ha la bandiera in mano. Un complotto, il copricapo, le corna. Il Presidente è scomparso. State calmi e tornate a casa. Il Presidente non si trova più. Aspetta. Aspetta. Lunga vita al nuovo Presidente. Foto delle scarpe che cerchi. Scarpe colorate. L’offerta per un corso online. Avanti. Aspetta.

Un imprenditore miliardario sperimenta un chip per codificare gli algoritmi del cervello e collegarli ad un computer.
Immagini scrollano se chiudo gli occhi. E così tutto quello che cerco diventa un dato. Le mie ricerche sono i miei desideri. I miei desideri sono la mia traccia esistenziale. Esisto già nei dati. Esisto nei dati. Dati parlano di me per me. Suono del silenzio elettrico. La distorsione del vinile nello spazio. Aspetta. Ricerca. Digita. Aspetta.

di Marco Calabrese 

Sharing