Il 16 marzo del 1978 veniva rapito a Roma l’onorevole Aldo Moro, che verrà ritrovato soltanto due mesi dopo senza vita. La vicenda si inserisce in anni turbolenti per le trasformazioni sociali e politiche italiane e internazionali, diventando trama per la cinematografia e la televisione a venire, tra santini e critiche politiche a posteriori.

 

Rifugge fortemente da qualsiasi agiografia o storicismo lo spettacolo Aldo Morto – Tragedia di Daniele Timpano, andato in scena per la prima volta nel 2012 e poi pubblicato nel 2018 per Cue Press. In un limbo di ricordi privati ufficiosi e di ricostruzione pubblica, il rapimento, la detenzione e la morte di Moro, sono ricostruiti tra picchi di comicità esplosiva ed impegno civico spiazzante.

La distanza che mette Timpano tra sé e Aldo Moro è quella di chi non ha vissuto quegli anni e li conosce per una tradizione di racconti, giornali, o proprio per la produzione artistica diffusa in seguito.

E infatti l’attore romano passa dal parlare in prima persona come figlio del deputato a fare da megafono ai brigatisti senza soluzione di continuità.

In un travestimento tutto parola e frenesia fisica,  non si riconosce -se c’è – una pelle o una storia originale da commemorare. E poi, ne avremmo bisogno davvero?

Aldo Vivo si racconta a posteriori, esaltando le contraddizioni dell’Uomo in sé e di quello Fuori di sé, martoriato tanto dalla santificazione quanto dal martirio.

 

I tanti punti di vista non intaccano minimamente la costruzione artefatta di quei giorni, anzi, allargano ampiamente lo spettro delle storie. Attraverso questa strategia si crea un’immagine multiforme di cose accadesse fuori, prima-durante-dopo. Era impossibile, di fatti, limitare Moro a Moro, figura pubblica disseminata nelle vite di tanti in quegli anni.

     “Aldo è morto, poveraccio” e ci si può fare ben poco. Sul palco non resta che giocare con la Storia, mettendo in scena persino il tugurio in cui il Presidente della Democrazia Cristiana visse i suoi ultimi giorni di vita.

L’anno successivo all’esordio Timpano vince il Premio Nico Garrone grazie a un progetto di sperimentazione durante il quale passa cinquantaquattro giorni di reclusione in uno spazio 3×1 ricostruito al Teatro dell’Orologio di Roma.

Si mette così in scena, più che da attore, come una reliquia vivente, quella che Moro è diventato in rapporto agli Anni di Piombo e al Compromesso Storico.

Un feticcio rock-star, analiticamente vivisezionato in Aldo Morto-Tragedia come mai nessuno ha saputo o voluto fare. Si dimostra così il coraggio di scomodarsi e scomodare -in rapporto anche alle reazioni della famiglia del Presidente della DC- accusatorio e sfrontato, ma riguardoso, nella sua profondità artistica.

Una stratificazione che tocca il pubblico e le giurie in maniera trasversale, da meritarsi il Rete Critica 2012, il maggiore riconoscimento teatrale italiano.

L’abilità timpaniana di spezzettare le linee emotive e narrative lascia lo spettatore inerme davanti le scene di maggiore empatia, sfibrandolo nell’altalena di registri e stimoli, ora leggeri ora impegnati.

L’utilizzo colorato di maschere robotiche e di macchinine giocattolo  sgargianti, destabilizza il ricevente con messaggi visivi e drammaturgici forti, di una pervasività immediata ed efficace.

La reazione del pubblico, il più delle volte, è strabordante, incontenibile, negli accessi di risa come nei silenzi assorti. E’ questo caleidoscopio di toni ed umori che fanno di Aldo Moro uno spettacolo spinoso, eppure tondo e appagante.

(Daniele Timpano è attore, regista, drammaturgo. Con Elvira Frosini fonda nel 2008 la Compagnia Frosini/Timpano, d’intenti personali e artistici. Molte delle loro opere, Zombietudine, Dux in scatola, Risorgimento Pop, Ecce Robot!, indagano il rapporto tra corpo vivo, esposto, morto, mutilato, evoluto.)

 

di Mariano Mastuccino

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